Fare un film. Significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell'infanzia.

François Truffaut

martedì 24 aprile 2012

Quando la notte

Titolo orginale: Quando la notte
Cristina Comencini
Italia - 2011

Trailer italiano

 
Marina è una giovane donna sposata che decide di trascorrere un mese di vacanza estiva in montagna con il suo bambino, Marco. La donna prende in affitto una casa un po’ isolata in un paesino delle Dolomiti, il cui padrone, Manfred, è una guida alpina, che vive al pianterreno della medesima abitazione. L’uomo è molto schivo e riservato e per giorni con lui non c’è nessun tipo di contatto. La vacanza trascorre in modo piacevole, le giornate di sole all’aria aperta mitigano il fatto che di notte il bambino piange, impedendo a Marina di dormire. Presto si scopre che la donna vive in modo problematico il suo nuovo ruolo di madre, per il quale non si sente adatta. L’arrivo del maltempo la mette in crisi, costringendola in casa con il bambino che piange sempre… Manfred dal piano di sotto ascolta tutto, fino alla notte in cui è testimone di quello che non crede essere soltanto un incidente e che lo porta a soccorrere Marina e suo figlio. Da quella notte tra i due si instaura un legame molto profondo che porterà alla luce i problemi attuali di Marina e i fantasmi del passato di Manfred.
Dopo l’imbarazzante e disastroso Bianco e nero (2007), Cristina Comencini torna dietro la macchina da presa adattando per lo schermo il suo romanzo Quando la notte (edito da Feltrinelli nel 2009). Come nell’ultimo lavoro della sorella Francesca, il tema centrale è la maternità, o meglio, un lato “oscuro” di un’esperienza altrimenti gioiosa come la maternità. Nel film di Francesca Comencini, Lo spazio bianco (2009), si racconta l’esperienza di una madre che ha un parto prematuro e della sua successiva attesa in quel limbo (lo spazio bianco appunto) in cui non si sa se il bambino riuscirà a vivere, in cui un genitore non può fare altro che aspettare, senza il coraggio di dare un nome al proprio figlio. È una materia nuova per lo schermo e personalmente ho trovato molto interessante questa storia che è anche quella di molte donne di cui raramente si sente parlare. Molti fatti di cronaca invece purtroppo rendono familiare il tema del film di Cristina Comencini. La sua protagonista, Marina, soffre di un male che è l’ansia del non saper gestire un figlio piccolo, che può sfociare anche in episodi di violenza contro il figlio stesso. L’incidente che capita al bambino durante la notte, lo capisce Manfred e lo capisce subito lo spettatore (su questo non ci sono dubbi) non è un incidente, ma è Marina a fare del male al bambino che non smette di piangere. L’intervento dell’uomo salva il piccolo Marco, e di conseguenza anche Marina. Da questo momento in poi, Manfred è coinvolto, suo malgrado, nella vita della donna, che disprezza apertamente. L'uomo infatti ha un paio di scheletri nell'armadio, che non restano segreti a lungo: è la cameriera di un bar a raccontare a Marina il passato dell'uomo. La sua famiglia gestisce un rifugio, dove Manfred è cresciuto con i due fratelli e il padre perchè la madre li ha abbandonati quando erano piccoli. Inoltre, la moglie lo ha lasciato portandosi via i figli. Il duplice abbandono rendono l'uomo chiaramente mal disposto nei confronti del genere femminile ("tu le odi le donne" gli dice uno dei fratelli) e ne fanno un caso da manuale di psicologia. Manfred vede in Marina, che non si prende cura del figlio, la madre che lo ha abbandonato, e la diprezza ma finisce per innamorarsene. Di Marina invece si sa poco, quasi niente oltre al fatto che è sposata, che suo marito si aspetta molto da lei, che non lavora ma desiderebbe tornare a farlo.
Se il romanzo ha ottenuto buone recensioni, lo stesso non si può dire per il film. Addirittura deriso durante la proiezione al festival di Venezia, non è piaciuto molto neanche al pubblico. A mio parere, il più grande difetto di questo film, che basa tutto sulla psicologia dei personaggi, è quello di voler dire e spiegare troppo. Ogni sentimento, ogni emozione viene spiegata e sottolineata in dialoghi che finiscono per assumere un tono un po' irreale. Manfred addirittura trova nell'appartamento di Marina un disegno fatto da lei, in cui, accanto alla forma stilizzata di un bambino, aleggiano le parole odio amore odio amore odio amore... Questo eccesso di spiegazioni appesantisce sicuramente la visione del film, come anche alcune scene assolutamente inutili: ad esempio, Marina che si confida con la cognata di Manfred e in lacrime le chiede "perchè nessuno ti dice che è così difficile?" (essere madre intende), oppure la rissa tra i fratelli fuori dal rifugio. Il tono eccessivamente melodrammatico della vicenda rischia di far perdere credibilità alla storia (forse è per questo che a Venezia il pubblico rideva durante le scene più "drammatiche"). Un dramma psicologico dovrebbe lasciare qualche zona d'ombra, qualche incertezza, per sfruttare la suspance e la tensione che pure sono presenti all'inizio del film (un inizio promettente) ma che poi vengono appunto dispersi dai personaggi che puntalmente si mettono a spiegare tutti i perchè e i per come, rivolgendosi chiaramente al pubblico più che parlando fra di loro, il che dà ai dialoghi quel tono irreale di cui parlavo prima. Tutto deve essere spiegato e tutto deve essere portato fino in fondo, senza lasciare nulla in sospeso: questa sensazione la dà soprattuto il "doppio" finale, quando sarebbe stato sufficiente fermarsi al primo. [Chi non vuole sapere come finisce il film, si fermi qui].
Secondo me il film sarebbe dovuto finire con Marina e Manfred che si salutano all'ospedale, lasciando lo spettatore in sospeso (almeno su questo!) a domandarsi cosa ne sarà dei due, se Manfred riuscirà a recuperare il rapporto con la famiglia e la moglie, se Marina accetterà il suo ruolo di madre o manderà all'aria anche il suo matrimonio. Invece no. Arriva fastidioso come tutte le spiegazioni un epilogo che sembra un'inutile appendice, appiccicata per forza per farci sapere come va a finire la storia. Dopo quindici anni (perchè poi quindici anni? che senso ha dopo così tanto tempo?!) Marina torna nel paesino, di nuovo in vacanza ma stavolta da sola. Dopo delle assurde peripezie (la tempesta di neve) che vogliono ricreare un po' di pathos e melodramma per l'incontro fra i due (come se non ce ne fosse già stato a sufficienza! La scena delle due cabinovie che si incrociano, con lei che scende e lui che sale, e che si guardano attraverso il vetro è veramente terrificante a questo punto... ci credo che la gente rideva) Marina e Manfred sono finalmente insieme. Consumano l'amplesso lasciato in sospeso quindici anni prima per poi ritornare ognuno alla propria vita (inquadrature alternate di lui in montagna e lei in metropolitana). Poi il film finalmente finisce.
Tra le cose che non funzionano in questo film, io aggiungerei anche la scelta dei due attori protagonisti. Claudia Pandolfi (Marina) potrà anche dire "non chiamatemi più la ragazza della fiction" ma, per quanto mi riguarda, la fiction e la recitazione da fiction è una cosa che le è rimasta attaccata addosso. Anche se Virzì l'ha voluta in due dei suoi film (in Ovosodo e La prima cosa bella aveva una parte abbastanza marginale. Nel film d'esordio del fratello, Carlo Virzì (I più grandi di tutti) sembra che sarà fra i protagonisti, ma ancora non l'ho visto), così come altri registi italiani come Lucio Pellegrini (Figli delle stelle) e Guido Chiesa (Lavorare con lentezza), la Pandolfi non ha maturato le capacità di una brava attrice. Per tutto il film ha una smorfia tra il broncio e la disperazione che la rendono assolutamente insopportabile. Filippo Timi è un bravo attore (conosciuto soprattutto da quando ha interpretato Mussolini in Vincere), ma che qui interpreta un personaggio talmente introverso e rabbioso da essere quasi caricaturale, e da stupire il pubblico che Manfred parli invece che grugnire.
L'unico motivo per cui vale la pena guardare questo film è la location: anche se ambientato sulle montagne delle Dolomiti, il film in realtà è stato girato a Macugnaga (VB), cittadina ai piedi dello splendido Monte Rosa.

lunedì 23 aprile 2012

Come trovare nel modo giusto l'uomo sbagliato

Titolo originale: Come trovare nel modo giusto l'uomo sbagliato.
Daniela Cursi Masella e Salvatore Allocca
Italia - 2011


Povero cinema italiano! è quello che ho pensato appena spento il televisore. Qualcuno dirà "te la sei cercata"... ma ci sono quei giorni in cui si ha il desiderio di guardare un film leggero e allora si tenta, sperando di incappare in qualcosa di divertente ma non per questo banale. Mi è andata male.
Sofia, la protagonista del film, è una ragazza che nutre un profondo amore per i cavalli (lavora in un maneggio) e che, dopo una serie di sfortunati incontri amorosi, conclude che i cavalli sono meglio degli uomini. Decide quindi di scrivere un trattato in cui mette a confronto la psicologia dei cavalli con quella degli uomini, trovando similitudini tra i diversi "tipi" che caratterizzano entrambe le specie (lo stallone, il purosangue, il castrone, etc.). Il film segue la scansione dei capitoli del suo trattato. 
Sofia ha due amiche per la pelle: Alice e Penelope. Alice è una fotorepoter che ha rinunciato a viaggiare per amore del suo fidanzato, per ciò lavora nel campo dei fotoromanzi, che lei detesta. Penelope è un avvocato fissata con l'astrologia, che cambia uomo con la stessa rapidità con cui cambia vestiti e scarpe. C'è poi Alex, fratello di Alice, medico ma rozzo e sciupafemmine, che si troverà a dividere l'appartamento con Sofia, dopo che questa ha ricevuto lo sfratto (e che era innamorata di lui da ragazzina). Il film racconta le vicende del trio di amiche, le cui vite cambiano quando Sofia sembra aver trovato l'uomo dei suo sogni, Alice si sposa e Penelope... continua a collezionare un uomo dietro l'altro. Ma la vita ha in serbo per tutte e tre le ragazze una sorpresa.
Daniela Cursi Masella (tra l'altro collaboratrice de "La voce equestre") è l'autrice dell'omonimo romanzo da cui è tratto il film (edito da Viviani nel 2008) e firma sceneggiatura e regia con Salvatore Allocca, giovane regista con alle spalle un paio di corti (Crackers 2006 e Gunes 2011) e un documentario (L'incantatore di serpenti, la vita senza freno di Gian Carlo Fusco 2010), quindi alla sua prima vera regia. Non ho letto il romanzo per cui non posso giudicare la base da cui si è partiti per realizzare questo film, ma probabilmente le intenzioni erano buone, l'idea di paragonare gli uomini ai cavalli non è di per sé malvagia, anche se a tratti risulta un po' forzata. L'eterna lotta fra uomini e donne è un tema molto ricorrente nel cinema, a partire (ci saranno stati degli antecedenti, ma io ricordo soprattutto questo) da La costola di Adamo (di George Cukor, 1949, con Spencer Tracy e Katharine Hepburn), ma qui viene banalizzato in maniera estrema: gli uomini sono tutti infantili, irresponsabili, donnaioli, fissati con il calcio, mentre le donne sono brave, intelligenti, capaci ed esasperate dal fatto di non venire poprio capite dai maschi. Un'opposizione che viene tutta riassunta nella scena in cui Sofia e Alex devono decidere che film guardare: ovviamente, l'uomo vuole vedere un film d'azione, la donna uno sentimentale (e vince la donna). 
Lo spessore psicologico è qualcosa che veramente sfugge agli autori, che danno vita a dei personaggi contraddistinti da un'unica caratteristica veramente marcata. Così Sofia è la ragazza goffa e sgraziata che si sente a proprio agio solo con i cavalli, Penelope è la mangia uomini, Alice la brava ragazza che cerca di far funzionare il suo matrimonio sacrificando i suoi sogni, Alex il donnaiolo che si rimorchia qualsiasi donna gli capiti a tiro. I problemi arrivano e passano con una scrollata di spalle, al massimo qualche urlo o pianto che non dura più di cinque minuti, qualsiasi sia la gravità: il divorzio di Alice, la gravidanza di Penelope, il tradimento subito da Sofia proprio dall'uomo che credeva perfetto. La recitazione, da parte di tutti, è irritante, con le battute che cadono a puntino a dare un tono artefatto e falso ai dialoghi, per strappare a forza almeno un sorriso. Ad esclusione di Francesca Inaudi, che interpreta Sofia, e che ha alle spalle una lunga filmografia, tutta italiana (con qualche buon lavoro come Dopo mezzanotte di Davide Ferrario), gli altri attori provengono quasi tutti dal mondo delle fiction e della televisione: Giulia Bevilacqua (Penelope) ha lavorato soprattutto in Distretto di Polizia. Giorgia Surina (famosa come vj di mtv) in Un medico in famiglia, Il commissario Nardone, Love Bugs, RIS. Enrico Silvestrin (anche lui vj) principalmente in Distretto di polizia, più un paio di comparsate in film generazionali (Come te nessuno mai, Che ne sarà di noi).
Immaginando un potenziale pubblico per questo film, non posso che pensare alle ragazze cresciute con gli adattamenti per lo schermo dei romanzi di Moccia che ora, diventate adulte, avranno ormai capito che il principe azzurro non esiste, o comunque, che non è così facile come sembrava trovarlo. E allora ecco qui per loro un filmetto che le rassicura: gli uomini sono tutti uguali, ma non disperate! dopo tante vicissitudini troverete, nel modo sbagliato, l'uomo giusto!