Fare un film. Significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell'infanzia.

François Truffaut

domenica 2 dicembre 2012

Chronicle

Titolo originale: Chronicle
Josh Trank
USA - 2012

Trailer italiano

Andrew è un adolescente timido e introverso, senza amici né autostima, vessato dai compagni di scuola, ignorato dalle ragazze, con padre alcolizzato e madre morente per malattia. Un giorno decide di acquistare una telecamera e riprendere ogni momento della sua vita. Tutto cambia la notte in cui suo cugino Matt e un amico, Steve, scoprono una galliera sotterranea in un luogo isolato. Andrew viene invitato a seguirli per riprendere ogni cosa e i tre ragazzi si imbattono in una misteriosa struttura, lucente e rumorosa, la telecamera va in tilt e i ragazzi perdono i sensi. Dopo questo episodio, Andrew, Matt e Steve scoprono di avere acquisito dei poteri telecinetici. All'inizio riescono solo a muovere piccoli oggetti ma, con il passare del tempo e allenandosi, riescono perfino a volare. Al principio utilizzano i loro poteri per divertirsi a fare degli scherzi ma, dopo il ferimento di una persona, decidono di darsi delle regole e di tenere sotto controllo la loro forza. Tuttavia Matt e Steve non hanno fatto i conti con il fatto che anni di frustrazioni e umiliazioni hanno fatto di Andrew un ragazzo estremamente instabile e che, in seguito ai poteri, inizia a sviluppare un delirio di onnipotenza mettendo in pericolo tutti, compresi i suoi amici.
La telecinesi ha un precedente molto illustre nella storia del cinema: l'indimenticabile Carrie - Lo sguardo di Satana, diretto da Brian de Palma nel 1976. Carrie non è molto diversa da Andrew: timidi, soli, senza amici, presi in giro dai coetanei, con una situazione famigliare disastrosa. Che un personaggio con un simile background non sappia gestire poteri paranormali non è quindi una novità. 
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, diceva Peter Parker (Spiderman, Sam Raimi, 2002). Ai tre ragazzi, tuttavia, non passa neanche per l'anticamera del cervello l'idea di usare i propri poteri per aiutare le persone. Li impiegano esclusivamente per scopi egoistici, come divertirsi. Chronicle dunque non è un film su i supereroi, si tratta di adolescenti comuni, senza nessuna vocazione per l'eroismo o la grandezza, il che, con tutti i paladini che sono passati ultimamente sullo schermo, non è neanche spiacevole. Per lo meno di sicuro è abbastanza realistico. Come situazione ricorda molto la serie televisiva The Misfits in cui un gruppo di adolescenti si trova improvvisamente con poteri paranormali in seguito a una strana tempesta radioattiva.
Il maggior difetto di questo film è che, a mio parere, il regista si è concentrato più sulla tecnica che sulla trama. Tutta l'opera è girata con la tecnica del cosiddetto "found footage", che consiste nel fingere di assemblare vero materiale video girato con apparecchi disparati quali videocamere, telefoni cellulari, telecamere dei circuiti di sicurezza, etc. Capostipite di questo genere di film è, come dimenticarlo, The blair witch project (Daniel Myrick e Eduardo Sànchez, 1999). Altri esempi sono Rec (Jaume Balaguerò e Paco Plaza, 2007) e Cloverfield. (Matt Reeves, 2008). Il risultato è un'immagine movimentata nelle scene di azione, traballante fino alla nausea, un'immagine "sporca" e quindi realistica. Di solito le immagini provengono da una sola videocamera; in questo film il regista invece moltiplica le attrezzature di ripresa, facendo un collage da varie fonti: principalmente la telecamera di Andrew, ma (quando i ragazzi sono impossibilitati a riprendere) anche altre videocamere (quella dell'amica blogger), telefoni cellulari, telecamere di sicurezza, immagini dei telegiornali. Sembra che la maggiore preoccupazione sia quella di trovare sempre nuovi espedienti di ripresa: il prodotto risulta quindi tecnicamente molto curato e il gioco ad incastri tra le varie riprese praticamente perfetto, ma la trama ne risente. I personaggi vengono lasciati un po' a se stessi: Matt e Steve sono assolutamente trascurati per concentrarsi sul declino mentale di Andrew, che sopravviene però troppo improvviso. Sembra solo un passaggio necessario per dare il via alla catastrofe finale, a cui viene dedicato grande (troppo) spazio, ovviamente realizzata con effetti speciali mozzafiato.
Josh Trank, giovanissimo (classe 1985) regista statunitense, è al suo esordio cinematografico, dopo la regia di 5 episodi di "The kill point" (serie televisiva d'azione di otto episodi trasmessa nel 2007). I suoi prossimi lavori annunciati sembrano essere Venom (personaggio della Marvel, uno dei principali nemici dell'Uomo Ragno) e Fantastic Four. Sembra piuttosto chiaro quale strada ha deciso di intraprendere per il futuro. Non si sente certo la mancanza di film su i supereroi; c'è da sperare che Trank, oltre a realizzare film tecnicamente impeccabili, si preoccupi in futuro di dare un'anima ai suoi personaggi.

Intacto

Titolo originale: id.
Juan Carlos Fresnadillo
Spagna - 2001

Trailer (in lingua inglese)

In un deserto sorge un Casinò. Nel suo scantinato vive un uomo - Samuel  (Max von Sydow) - ebreo, anziano, di cui nessuno ha mai visto il volto. La storia ha inizio quando il suo collaboratore - Federico (Eusebio Poncela) - gli annuncia di volersene andare. Samuel tocca la mano di Federico, e qualcosa per lui cambia per sempre. In un letto di ospedale si risveglia un ragazzo - Tomàs (Leonardo Sbaraglia) -  unico sopravvissuto ad un disastro aereo, ritrovato con un mucchio di soldi nascosti addosso. Pochi giorni dopo gli fa visita una poliziotta - Sara (Monica Lopez) - che ha una vistosa citatrice alla gola e lungo il corpo. Ma anche Federico è sulle tracce di Tomàs. Una volta raggiunto, propone al ragazzo un affare e Tomàs decide di seguirlo. L'uomo non sa che Sara è sulle sue tracce, come non sa che la destinazione finale del suo viaggio con Federico è il Casinò di Samuel.
Che cosa hanno in comune questi quattro personaggi? Sono tutti dei sopravvissuti: Samuel all'olocausto, Federico a un terremoto, Tomàs a un disastro aereo e Sara ad un incidente in macchina. Quello che hanno in comune è la fortuna, in un mondo in cui la fortuna è come un bene che si può accumulare, rubare o perdere per sempre.
Meglio non aggiungere altro alla descrizione della trama per non rovinare la visione di questo film, il cui pregio principale è sviluppare in maniera imprevedibile un'idea piuttosto originale, anche se il buon livello dell'inizio non viene mantenuto lungo tutto il film. Dopo la prima mezz'ora in cui lo spettatore brancola nel buio, dopo che i pezzi del puzzle sono andati tutti a posto, il film perde un po' interesse e procede, preciso come un orologio, verso la sua conclusione. Gli eventi si incastrano con una precisione quasi geometrica e irritante, ne fa le spese la suspance e il gusto della scoperta. Rimane comunque un film ben diretto e interpretato, anche se mediocre.
Per Jaun Carlos Fresnadillo è il film d'esordio e, anche se non ha avuto un successo eclatante né gli ha portato alcun premio, gli ha sicuramente aperto le porte del grande pubblico.
Seguono: nel 2002 Psicotaxi, un corto con Alejandro Jodorowsky nei panni di se stesso. Nel 2007 dalla Spagna ci si sposta in Gran Bretagna con 28 settimane dopo (sequel di 28 giorni dopo, Danny Boyle, 2002): sequel, dicono, assolutamente all'altezza del primo film. Nel 2011 si sbarca in America con Intruders, horror-thriller con Clive Owen come protagonista. Prossimo film in calendario, solo annunciato per il momento: Highlander.
E' evidente la predilezione del regista per il genere thriller-horror. Non avendo visto gli altri suoi film non sono in grado di giudicare se il regista abbia saputo sfruttare l'opportunità delle grandi produzioni per realizzare film di qualità, o se piuttosto non sia andato a ingrossare le file dei banali cineasti di thriller-horror americani, e non.

Detachment - Il distacco

Titolo originale: Detachment
Tony Kaye
USA - 2011

Trailer italiano

La scuola. Argomento sul quale il cinema ritorna periodicamente. Il primo film che mi viene in mente pensando alla scuola è L'attimo fuggente (Dead poets society, Peter Weir, 1989) che, pur con tutti i suoi difetti, ha fatto "scuola" ed epoca. L'immagine degli alunni che salgono in piedi sui banchi esclamando "O capitano mio capitano" è entrata nell'immaginario collettivo di milioni di studenti (e non solo) a cui spesso il film è stato mostrato proprio durante le ore di lezone. In ambito italiano penso a film come La scuola (Daniele Luchetti, 1995) e a La scuola è finita (Valerio Jalongo, 2010), entrambi ambientati in una scuola superiore a Roma, incentrati sul rapporto tra ragazzi e insegnanti, ma opposti perchè il primo lo mostra in chiave di commedia mentre l'altro ha toni molto drammatici e una visione pessimista. C'è La classe - Entre les murs (Laurent Cantet, Francia, 2008) che mostra, con stile documentaristico, un anno di insegnamento di un professore di francese. C'è L'onda (Dennis Gansel, Germania, 2008) che, pur avendo come argomento principale il totalitarismo, è comunque ambientato in un liceo e racconta dell'anomalo esperimento che un insegnante di educazione di fisica decide di fare con la sua classe.
Guardando agli USA, molto spesso la scuola fa semplicemente da cornice per film adolescienzali. Si va dalle commedie leggere e romantiche come Kiss me (Robert Iscove, 1999) e 10 cose che odio di te (Gil Junger, 1999), a tutto il filone demenziale inaugurato con American Pie (Paul Weitz, 1999), fino alla declinazione "in rosa", cioè a quei film che hanno per argomento il contrasto fra le "belle" della scuola, come Amiche cattive (Darren Stein, 1998) e Mean Girls (Mark Waters, 2004). Anche se si tratta di una vastissima (e commerciale) produzione, non mancano in ambito americano film che cercano di indagare seriamente la vita degli adolescenti nel contesto della scuola: Michael Moore e Gus Van Sant si sono occupati del delicato tema delle stragi nelle scuole nei rispettivi Bowling a Columbine (2002) ed Elephant (2003) (anche se il primo in realtà è un documentario che, partendo dalla strage nella omonima scuola, si occupa del tema del porto d'armi in America). Questo è un tema piuttosto specifico; tornando all'argomento scuola in generale, grande presa sul pubblico ha il tema delle scuole che si trovano in contesti sociali degradati e quindi di ragazzi problematici. A questo proposito, si potrebbe prendere il film Pensieri pericolosi (John N. Smith, 1995) come termine di paragone per Detachment. Pensieri pericolosi è un film edulcorato, patinato, hollywoodiano, zeppo di retorica. L'insegnante di letteratura protagonista (Michelle Pfeiffer) si trova ad insegnare in una classe problematica ma, catturato l'interesse degli studenti, riesce a farli appassionare alla poesia e cambia le loro vite. I ragazzi vengono da situazioni famigliari difficili e vivono nella povertà, ma in fondo sono tutti "bravi ragazzi" che hanno solo bisogno di qualcuno che si interessi a loro e li aiuti a risolvere i loro problemi. 
Detachment inizia con una citazione di Camus: 
And never have I felt so deeply at one and the same time so detached from myself and so present in the world (non mi sono mai sentito allo stesso tempo così distaccato da me stesso e così presente nella realtà). Il protagonista è Henry Barthes (l'ottimo Adrien Brody, premio Oscar a soli 29 anni), supplente di letteratura, che viene inviato per una sostituzione in una scuola di periferia. La situazione che si trova ad affrontare vede ragazzi irrecuperabili, un corpo docente disilluso e genitori completamente assenti. Henry Barthes non crede di poter fare la differenza. Svolge il suo lavoro senza aspettative, totalmente distaccato da ciò che lo circonda. L'uomo vive all'ombra del ricordo del suicidio della madre quando era bambino e ha una vita solitaria e priva di legami affettivi. L'incontro con due giovani donne, Erica (una ragazzina che si prostituisce) e Meredith (un'alunna particolarmente sensibile) lo obbliga a riconsiderare il suo atteggiamento nei confronti del prossimo, e anche di se stesso. 
Dimentichiamoci quello che abbiamo visto fin'ora. Dimentichiamoci i ragazzi penalizzati dal contesto sociale ma pieni di speranze e di sogni e gli insegnanti idealisti che vogliono cambiare le cose. Nel film non ascoltiamo storie commoventi sui singoli alunni che possano motivare il loro comportamento. Tutto è predeterminato dal degrado sociale, economico, culturale dell'ambiente in cui vivono, unito al disinteresse delle autorità (scolastiche e non) e all'incapacità dei genitori. Gli insegnanti non sono eroi e martiri, ma persone stanche e disilluse, dalle vite miserabili e fallimentari. L'arrivo di Henry non rappresenta una rivoluzione, l'inizio di un cambiamento. L'uomo mantiene le distanze emotive sia con i suoi alunni che con il resto del corpo docente, consapevole di essere solamente di passaggio. Eppure Henry non è un insensibile. Tenta di aiutare sia Erica che Meredith, ma convinto della propria inadeguatezza finisce per allontanare entrambe. Il trauma affettivo rappresentato dal suicidio della madre ha reso l'uomo incapace di stringere legami, eppure non può evitare che le aspettative delle altre persone (donne soprattutto) si riversino su di lui. Dimentichiamoci anche il finale consolatorio: per la scuola non c'è futuro e i ragazzi finiranno per cadere nel circolo di disperazione, miseria e grigiore che li circonda. Solo per Henry alla fine del film si apre uno spiraglio di luce.
Detachment è un film cupo e disperato, lucido, freddo e implacabile. E' un film sulla incomunicabilità, con un che di poetico. Nello scorrere della storia si inseriscono rapidi flash back dell'infanzia di Henry, voci fuori campo (degli insegnanti che raccontano le loro esperienze e quella di Henry), l'animazione della lavagna su cui un gessetto disegna e cancella frasi e disegni simbolici. A tratti forse eccessivamente criptico, il film non si sforza di spiegare ad ogni costo le storie personali, ma lascia che le immagini del presente, i frammenti, raccontino la vita dei personaggi. Un uomo aggrappato alla rete metallica della recinzione della scuola, una ragazzina sdraiata sopra un mare di fotografie, una donna che si scosta dal marito che la abbraccia, la tavola imbandita dalla ragazzina che aspetta Henry di ritorno dal lavoro. Tutti questi frammenti parlano di solitudine, di rassegnazione, di fallimento.
Il regista Tony Kaye è inglese ma ha sempre lavorato negli Stati Uniti. Il suo secondo film arriva ben 13 anni dopo la sua prima opera, American history X (1998). Anche se per il grande pubblico è così, non sono stati 13 anni di silenzio: dopo lo straordinario esordio, Kaye si è dedicato alla direzione di tre film: Snowblind (2004), Lobby Loster (2007), Black Water Transit (2009) e di un documentario: Lake on Fire (2006). Film indipendenti con cast privi di attori famosi... qualunque sia il motivo, in Italia non sono mai arrivati, non li si è mai sentiti neanche nominare, e anche in America non hanno avuto una gran circolazione. Dopo il ritorno al grande pubblico con Detachment che, pur rimenendo sulla linea dei film indipendenti, vanta un cast di tutto rispetto, con stelle come Adrien Brody, James Caan e Lucy Liu, sembra che anche il suo prossimo lavoro non passerà inosservato. Si tratta di Attachment (il contario di Detachment), atteso per il 2013: il film parlerà dell'ossessione amorosa di uno studente per una insegnante (niente meno che Sharon Stone).