Fare un film. Significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell'infanzia.

François Truffaut

martedì 8 maggio 2012

Casotto e Tutti al mare

Titolo originale: Casotto
Sergio Citti
Italia, 1977

Titolo originale: Tutti al mare
Matteo Cerami
Italia, 2011

Il remake è un'operazione cinematografica molto utilizzata e abusata. Spesso il remake non si rivela all'altezza dell'originale, né aggiunge qualcosa di nuovo. In alcuni casi il remake viene realizzato perchè, grazie alle innovazioni tecnologiche, si possono realizzare effetti speciali migliori dell'originale (basta confrontare, per esempio, Viaggio al centro della terra del 1959 con quello del 2008. Il primo rimane comunque il mio preferito). In alcuni casi proprio non ci si spiega come mai un regista abbia voluto rifare un film assolutamente perfetto: è l'esempio dell'immortale Sabrina (1954) di Billy Wilder, con Audrey Hepburn, Humphrey Bogart e William Holden, rifatto nel 1995 da Sydney Pollack, con Julia Ormond, Harrison Ford e Greg Kinnear. In altri casi è il regista stesso a girare un remake di un suo lavoro: una volta affermatosi, ripesca tra le sue prime opere potendo contare su un budget più consistente. L'ha fatto, per esempio, Michael Haneke con Funny Games (versione del 1997 e versione del 2007). Ci sono poi registi che realizzano remake di film poco conosciuti, che in questo caso non vengono percepiti dalla maggior parte del pubblico come remake ma come film originali. è quello che succede spesso, ad esempio, al filone dei film horror asiatici da cui registi spesso americani pescano a man bassa (tanto per citare i due più famosi, entrambi del regista Hideo Nakata, The ring (2002) remake di Ringu (1998), e Dark Water (2005) remake di Honogurai mizu no soko kara (2002)).
In altri casi ancora, più che di remake, si può parlare di omaggio. Sembra questo il caso di Casotto e Tutti al mare. Infatti la trama del secondo è diversa da quella del primo, ma identica è l'idea di base. Vincenzo Cerami scrisse la sceneggiatura con Sergio Citti per il film del 1977. 34 anni dopo, sempre Vincenzo Cerami scrive la scenggiatura con il figlio Matteo, riportando in vita l'idea del film del '77, che è quella di mostrare una giornata "tipo" al mare sul litorale laziale. 
Il film di Citti è geniale per il fatto di ambientare tutta la storia dentro il casotto n. 19, ovvero lo spogliatoio affittato da più persone per cambiarsi e appoggiare borse e vestiti. Molti personaggi vanno, vengono e si incontrano nel casotto, ma lo spettatore non può seguirli al di fuori della piccola struttura in legno dentro la quale, oltre dei vestiti, le persone si spogliano anche delle loro maschere, svelando la loro vera natura. C'è la famigliola composta da nonno (Paolo Stoppa), nonna, nipote, cugino (Michele Placido) e cane che sta disperatamente cercando un fidanzato per la nipote incinta (Jodie Foster). C'è una coppia di amici (Franco Citti e Gigi Proietti) che vogliono solo divertirsi e rimorchiare delle ragazze. Ci sono quelli fidanzati in segreto che sperano di trovare un po' di intimità nella giornata di vacanza. Ci sono due militari culturisti dalle dubbie inclinazioni sessuali. Ci sono due donne intraprendenti (Mariangela e Anna Melato) che devono vedersela con un impassibile agente assicurativo (Ugo Tognazzi). C'è un prete a cui la natura ha donato un bizzarro attributo e un giovane voyeur (Ninetto Davoli) che gira praticando fori nei muri dei vari casotti. Ognuno bene o male ha un segreto da nascondere, che si tratti di una gravidanza indesiderata, di attributi sessuali imbarazzanti o semplicemente di piedi troppo sporchi, che solo nello spazio protetto del casotto viene rivelato, ma solo allo spettatore. Si può pensare che l'intento di Sergio Citti fosse quello di smascherare i peccati di questi personaggi e, in definitiva, l'ipocrisia della società, anche e soprattutto alla luce di questo video in cui racconta come sarebbe dovuto finire veramente il film: tutti i personaggi perdono i vestiti e sono costretti a tornare a casa, nudi, con le loro vergogne.
La stessa ambientazione, il litorale laziale, ritorna in Tutti al mare e, anche in questo caso, lo spazio è ristretto (ma non così tanto ristretto) al bar e alla spiagga antistante. Anche qui il film si svolge nell'arco di una giornata. Nel bar, gestito da Maurizio (Marco Giallini) si incontrano vari personaggi: una coppia in crisi con amico del marito al seguito, due lesbiche (anche loro in crisi), una famiglia numerosa, una presentatrice televisiva con la badante della madre, uno iettatore, uno smemorato cleptomane (Gigi Proietti), un omosessuale con un pappagallo, un pazzo trovato svenuto sulla spiaggia e vari carabinieri, poliziotti e guardia di finanza che approfittano della loro posizione per scroccare vitto e alloggio. I personaggi però in questo caso, così come le loro storie personali, non sono per niente interessanti e non suscitano né curiosità né partecipazione. I caratteri sono abbozzati al limite della caricatura e nel film abbondano moltissimi (troppi) luoghi comuni che non fanno ridere: l'omosessuale che si porta il vibratore in borsa, le donne dell'est che vogliono sposare un uomo italiano per il permesso di soggiorno, il nonno nostalgico del fascismo, l'orientale che fa i massaggi sulla spiaggia e mangia esclusivamente riso bianco, i cinesi firmati Vuitton dalla testa ai piedi che si fanno raggirare dal tassista italiano che gli spilla duecento euro per la corsa giurando di averli portati a Posillipo. Oltre ai luoghi comuni, nel film vengono disseminate qua e là diverse citazioni di Casotto, come la sigaretta che non si accende a causa del vento e la sequenza onirica del sogno fatto da Libero de Rienzo (nell'originale da Gigi Proietti) in cui compare una donna celestiale (nell'originale Catherine Deneuve). Il nome del regista, Sergio Citti, viene anche nominato (nell'elenco dei sette re di Roma) e la citazione si può scorgere anche nel recupero di due attori presenti anche in Casotto (Gigi Proietti e Ninetto Davoli). Il risultato comunque è disastroso. Se Casotto diverte lo spettatore con i difetti e le "vergogne" di quel popolo anni Settanta che affolla lo spogliatoio, Tutti al mare lo annoia con personaggi gretti e lamentosi, che non sanno ridere delle proprie disgrazie e che, soprattutto, non coinvolgono. Se questo voleva essere un ritratto della società italiana contemporanea, non ne viene fuori un bel quadro (stesso discorso vale per il cinema italiano).

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