Fare un film. Significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell'infanzia.

François Truffaut

mercoledì 25 agosto 2010

Gli Amori Folli

Titolo originale: Les Herbes Folles
Alain Resnais
Francia - 2009

trailer italiano

Marguerite cammina per la strada e viene scippata della borsa. Georges trova un portafoglio accanto alla sua auto in un parcheggio. Appartiene a Marguerite. Mentre cerca di contattarla, inizia a fantasticare sulla donna, sulla loro prima conversazione, sul loro primo incontro. Una fototessera e un brevetto da pilota bastano a mettere in moto l'immaginazione di Georges. Eppure decide di consegnare il portafoglio al distretto di polizia. Ma la donna lo chiamerà per ringraziarlo, mettendo in moto una catena di eventi imprevedibili eppure, a loro modo, inevitabili.
Alla veneranda età di 87 anni, con una filmografia alle spalle che non inizio neanche a citare, Alain Resnais, uno dei padri della Nouvelle Vague, firma un'opera di straordinaria potenza visiva in cui regna un'irresistibile anarchia. Il titolo originale, Les Herbes Folles (rovinato nella traduzione italiana) racchiude il senso dell'opera e spiega anche le numerose inquadrature dei fili d'erba che crescono tra l'asfalto. "Mi sembrava che questo titolo rappresentasse bene i protagonisti: due persone che seguono impulsi totalmente irragionevoli, come quei semi che germogliano tra le crepe dell'asfalto o tra le rocce in campagna, dove nessuno si aspetterebbe di vederli spuntare" spiega il regista in un'intervista diffusa alla stampa. 
Nessuno infatti si aspetterebbe di veder germogliare la passione amorosa tra due persone come Marguerite e Georges. Dentista con la passione per il volo, la donna vive, nonostante l'età matura, da sola ma appare soddisfatta della sua vita. Georges è già nonno, vive con la moglie, e ha un passato oscuro di cui sono indizi il fatto che non possa più votare e la sua paura che il poliziotto a cui consegna il portafoglio lo abbia riconosciuto. Eppure tra i due nasce qualcosa, un'erba capricciosa. Gli "amori" del titolo nostrano possono trarre in inganno: dopo il primo contatto non si scivola in una storia d'amore clandestina tra i personaggi. Tutt'altro. Tra i due quasi nulla accade, eccetto un solo bacio. Si telefonano, lei non vuole vederlo, lui la perseguita, lei arriva quasi a denunciarlo, poi si pente, si incontrano, si evitano, si icontrano di nuovo, tutto sotto lo sguardo benevolo della moglie di Georges, affatto preoccupata di questa pseudo relazione. Leggeri, i personaggi di Resnais piroettano all'interno del loro bizzarro rapporto sfiorando ogni eventualità, agendo sull'istinto del momento, con una libertà piena e pura che sembra escludere il resto del mondo.
Raccontare altro di questo capolavoro sarebbe sciuparlo. Resta solo da guardare, ammirare, queste vite che si intrecciano e, guardandole, non si può non amarle e sorridere delle loro piccole debolezze, dei loro capricci, delle loro esitazioni e insicurezze (deliziose le finestrelle che si aprono a mostrare Georges e le varianti possibili della sua prima telefonata a Marguerite). Rimane impressa nella mente la gialla borsa di Marguerite che, strappatale dal borseggiatore, fluttua nell'aria al ralenti, seme che il vento porterà a germogliare lontano.
A coloro che amano trovare un senso a tutti i costi probabilmente questo film, che si conclude con una bimba (ma chi è?!) che domanda alla mamma se quando sarà un gatto potrà mangiare i croccantini, non piacerà. Quelli che accolgono nella loro vita la fantasia e un pizzico di follia se ne innamoreranno.
Eccezionali per i ruoli di Georges e Marguerite due attori che hanno già lavorato diverse volte con il regista francese: André Dussollier e Sabine Azéma.

Nota: il film è tratto dal romanzo "L'incident" di Christian Gailly, inedito in Italia. 

martedì 24 agosto 2010

Io sono l'amore

Titolo originale: Io sono l'amore
Luca Guadagnino
Italia - 2009

trailer italiano

Il film racconta le vicende della famiglia Recchi, proprietaria di un'industria tessile nella Milano dei nostri giorni. Essa è composta dai nonni paterni, dai genitori Tancredi ed Emma, e dai figli Edoardo, Gianluca ed Elisabetta. La narrazione si apre con una grande cena di famiglia per il compleanno del nonno, durante la quale questi annuncia la sua decisione di lasciare l'industria nelle mani del figlio Tancredi e del nipote Edoardo. Nel frattempo, nasce un'amicizia tra il ragazzo e Antonio, giovane cuoco con cui decide di mettersi in affari per aprire un ristorante. Mentre il padre considera questa impresa un capriccio del figlio inesperto in affari, la madre Emma si dimostra interessata e ciò la porta a fare la conoscenza di Antonio, del quale molto presto si innamora. L'improvvisa passione della madre, i distacchi e le partenze dei figli, la morte del nonno, la decisione del marito di vendere l'industria porteranno al disfacimento della grande famiglia.
Questo è uno di quei film che non possono essere stroncati all'unanimità perchè oggettivamente "brutti", né lodati perchè oggettivamente "belli". Questo è un film che può conquistare o che si può odiare. La critica si è infatti trovata divisa. Con tre nomination ai premi Alabarda d'oro 2010, vince come miglior regia, esaltato dalla stampa anglossassone a Venezia da noi ha avuto un'accoglienza contrastata, stroncato da molti, lodato da alcuni. Per quanto mi riguarda, l'etichetta di capolavoro e l'accostamento a Visconti sono assolutamente fuori luogo per questo film poco riuscito.
Luca Guadagnino è al suo quinto lavoro: all'attivo conta un esordio bocciato (The Protagonist, 1999), una commediola giovanile (Mundo civilizado, 2003), un documentario su un famoso chef italiano (Cuoco contadino, 2005) e il disastroso adattamento del romanzo 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (Melissa P., 2005). Partendo da un suo soggetto, scrive la sceneggiatura con tre collaboratori (I. Cotroneo, B. Alberti, W. Fasano) ed è incredibile che ci siano volute ben quattro persone per produrre una sceneggiatura così debole. Il tema di base è buono, anche se non particolarmente originale: il solito cliché di una grande famiglia, per di più molto facoltosa, che nasconde sempre, dietro al lusso e alla perfezione, delle crepe. L'elemento destabilizzante qui è rappresentato da Emma, la moglie che viene dalla Russia, quindi un outsider rispetto all'ambiente della borghesia milanese, che rappresenta l'esotico. Mentre il figlio Gianluca è simile al padre, Edoardo ed Elisabetta hanno in sè i germi dell'estraneità della madre. Edoardo lo dimostrerà  sia con l'amicizia con Antonio, che non appartiene al suo ambiente, sia con un forte attaccamento alle radici della famiglia, l'azienda, opponendosi alla sua vendita a un compratore straniero. Elisabetta, più radicale, deciderà di vivere la sua omosessualità trasferendosi a Londra e studiando per diventare artista. 
Emma porta il suo ruolo di moglie e madre come una maschera: molte scene sono dedicate all'atto della vestizione, gioielli compresi, che altri faranno per lei quando la donna abbandonderà la volontà di travestirsi per il suo ruolo. Emma racconta: "quando sono arrivata qui per me c'era troppo di tutto, per le strade, nei negozi, ho dovuto imparare ad essere italiana", il che indica che la donna, in qualche modo, ha soppresso la sua vera natura, il suo vero io, per diventare la buona moglie di un facoltoso industriale. (Emma non è neppure il suo vero nome, glie l'ha dato Tancredi). La predisposizione del personaggio a questo suo contatto con un passato più vero ed autentico si esplicita soprattutto nell'atto del cucinare, cosa che lei adora fare ma che la schiera di domestici al servizio della famiglia non rende necessario. Il cibo ricopre un ruolo particolarmente importante: è proprio assaggiando i piatti preparati da Antonio che Emma inizierà a provare delle sensazioni nuove, o piuttosto a ritrovarne delle vecchie. Tutto questo la rende particolarmente soggetta ad entrare nella sfera di attrazione di Antonio, l'altro outsider della storia. Di estrazione certamente più umile, il ragazzo cucina con passione e talento e coltiva la sua verdura in un terreno a San Remo. Il suo sogno è quello di aprire un ristorante immerso nella natura ("le persone dovranno arrampicarsi per mangiare i miei piatti"). 
Il tema dell'individuo portatore di passione che arriva a sconvolgere l'equilibrio di una famiglia bene fa pensare inevitabilmente a Teorema (Pasolini) anche se qui l'unica ad esserne turbata è la moglie. Il fatto che la donna lo incontri per la prima volta da sola mentre si trova a San Remo a passeggiare ed è incantata ad ammirare una costruzione che le ricorda la sua patria (lo sguardo scivola con continuità dalla chiesa al ragazzo che passa per strada) suggerisce un collegamento tra il richiamo alle radici e il richiamo alla passione. Il collegamento a un certo punto è  sufficientemente chiaro, suggerito dall'estasi in cui Emma entra assaporando i piatti, dalla sua propensione per la fisicità (abbraccia e bacia molto spesso i figli) e dallo sforzo con cui invece indossa i suoi panni e i gioielli, e dal momento in cui Antonio le taglia i capelli liberandola da quella crocchia che simboleggia il suo essere borghese. Invece si va ancora più in là e lo si sottolinea in maniera forzata durante l'amplesso tra Antonio e la donna. In una sequenza eccessivamente lunga, le inquadrature dei due sdraiati nel prato, con un'attenzione soprattutto ai particolari come le mani, la pelle, il sudore, l'erba attaccata ai loro corpi, sono alternate a inquadrature della natura circostante, degli insetti che brulicano sui fiori, le formiche nel terreno. Mentre le vite dei familiari continuano a scorrere, i due proseguono il loro idillio nella natura in una specie di versione campagnola della laguna blu. Ma la felicità ha il suo prezzo: ad Emma costerà il disprezzo del suo figlio prediletto, Edoardo (a cui bastano i capelli tagliati e una zuppa che la madre gli preparava sempre, stavolta preparata da Antonio, per fare due più due). Il colpo di scena finale arriva troppo puntuale proprio nel momento in cui serve. Il finale, a questo punto l'unico possibile, è rovinato da una musica invadente che vorrebbe caricare maggiormente la drammaticità di una scena, il suo essere l'estremo punto di rottura che lo spettatore ha tanto atteso, ma che, tirata troppo per le lunghe, lo fa attendere solo la fine.
Se invadenti risultano le musiche di John Adams, molto curata è la fotografia di Yorick Le Saux, che mostra tutta la magnificenza di una Milano innevata e della splendida Villa Necchi Campiglio. Un buon materiale sprecato insomma, come sprecati sono i, di solito, bravi attori: prima di tutti l'inglese Tilda Swinton (Emma), e la nostrana Alba Rohrwacher (Elisabetta). Antonio è interpretato da Edoardo Gabbriellini, solitamente utilizzato da Virzì per parti secondarie, qui alla sua prima prova in un ruolo più centrale. Volto interessante quello del giovane Flavio Parenti, qui Edoardo.

lunedì 23 agosto 2010

Chloe. Tra seduzione e inganno

Titolo originale: Chloe
Atom Egoyan
USA - 2009

trailer italiano

Con quest'ultima opera, il regista armeno, canadese d'adozione, Atom Egoyan riconferma la scelta tematica già operata con il precedente False Verità (2005): un thriller in cui niente è come appare e in cui la sensualità (e in parte la perversione) gioca un ruolo fondamentale.
Siamo a Toronto. Catherine è un'affermata ginecologa, sposata con David, stimato professore di musica. Hanno un figlio adolescente, promettente pianista di talento. Il giorno del suo (non precisato) compleanno, David si trova fuori città a tenere una lezione e accetta l'invito dei suoi studenti a festeggiare con una cena. Non sa che la moglie gli ha preparato una grande festa nella loro casa, e la liquida dicendole di aver perso l'aereo. La mattina dopo, Catherine legge un messaggio sul cellulare del marito, in cui una studentessa lo ringrazia per la serata (con tanto di foto dei due sorridenti). La donna inizia a sospettare il tradimento; paranoia che viene inconsapevolmente alimentata da David, che flirta con tutte le donne giovani e carine che incontra (cameriere e via dicendo). Proprio dopo uno di questi episodi, Catherine si rifugia nel bagno di un locale dove incontra Chloe, una ragazza molto bella che di professione fa la prostituta d'alto bordo. Catherine decide di assoldarla: dovrà incontrare casualmente David, farsi notare da lui e osservare le sue reazioni, per poi tornare a riferire tutto alla donna. Dopo aver agganciato con successo l'uomo, Catherine decide di organizzare un secondo incontro e poi basta, ma la situazione le sfuggirà rapidamente di mano, perchè la bella Chloe si rivelerà una ragazza disturbata, che non accetta passivamente il ruolo di bambola-pedina che Catherine si aspetta da lei.
Più che un film sul tradimento, il sospetto e la perversione, questo mi è sembrato soprattutto un film sulla solitudine. La protagonista Catherine (nonostante il titolo dia centralità alla ragazza in realtà il motore di tutta l'azione è la donna matura) appare infatti una donna estremamente sola: con il marito non c'è comunicazione, impegnati come sono dai rispettivi lavori. Con il figlio ha un rapporto difficile (il perchè non viene spiegato) dal momento che il ragazzo rifiuta ogni tipo di dialogo e le sbatte, letteralmente, la porta in faccia. L'unico momento in cui la vediamo parlare con qualcuno estraneo al nucleo familiare è la scena in cui è a pranzo con due amiche pettegole, da cui si capisce che hanno un rapporto estremamente superficiale. Questa solitudine, il fatto di non condividere con nessuno le sue paure ed i suoi pensieri, sembrano la causa del suo comportamento irrazionale, la base della sua scelta di assoldare Chloe. Invece che parlare apertamente con il marito, preferisce spiarlo e metterlo alla prova. Su questo aspetto Catherine risulta un personaggio alquanto sprovveduto, impulsivo, per non dire stupido: si fa prendere totalmente dal panico da una situazione in fondo comune a molte coppie: il raffreddamento della passione dopo molti anni di matrimonio. Catherine ricorda con nostalgia il periodo d'oro, gli inizi, quando lei e il marito non riuscivano a stare lontani l'uno dall'altra e facevano l'amore tre volte al giorno, e si dispera perchè ora si sente vecchia mentre lui diventa sempre più bello, e non sa più come sedurlo. Misurando la qualità del loro rapporto esclusivamente sulla sessualità, Catherine dimostra di avere una concezione alquanto superficiale del rapporto di coppia, ignorando che il desiderio nasce dalla complicità, dalla condivisione, dal vivere con il proprio partner la maturazione del rapporto (che non necessariamente deve essere un declino).
Un personaggio quindi debole quello di questa donna, che si presta facilmente a cadere nella trappola di Chloe. Di questa giovane ragazza non sappiamo assolutamente nulla, e alla fine del film non ne sapremo di più, a parte che è estremamente bella, che è cosciente del suo potere e sa come sfruttarlo. Anche il marito è un personaggio a suo modo debole, gratificato dai sorrisi delle ragazze che incontra è poco risoluto nell'affrontare la moglie e capire le sue preoccupazioni.
Il film è l'elegante ritratto della crisi in cui i personaggi piombano quando, esclusa ogni possibilità di dialogo e chiarimento, si abbandonano esclusivamente alle passioni e alle sensazioni. Elegante e non squallido, perchè l'ambientazione rende tutto decisamente patinato e non "sporco". Siamo nel mondo dell'alta borghesia, raffinata e costosa è la casa dei coniugi, piena di vetrate, di quadri e di specchi, costosi sono i locali dove si incontrano a sorseggiare chardonnay, gli alberghi dove si consumano le infedeltà, i vestiti indossati... perfino la scelta degli attori segue questo "canone del patinato": i coniugi sono interpretati da due star quali Julianne Moore e Liam Neeson, che già propongono un certo tipo d'immagine. Il ruolo della bella Chloe è affidato a Amanda Seyfried, tutta occhioni e labbra carnose, che io personalmente ricordo solo nel ruolo dell'amica più cretina nella cricca di Mean Girls, o come la figlia zuccherosa in Mamma Mia!. Il figlio e perfino la sua ragazza (personaggio di passaggio) sono interpetati da adolescenti dal viso pulitissimo da telefilm per ragazzi come Max Thieriot e Nina Dobrev
L'immagine e l'apparenza giocano un ruolo molto importante in questo discorso, a discapito della presenza e del contatto. Non a caso in molti momenti del film è l'immagine e non la presenza a scaturire l'azione. La gelosia di Catherine nasce a causa di un SMS sul cellulare del marito, con relativa foto, e dal fatto che sorprende diverse volte l'uomo a chattare con i suoi studenti. La prova della sua infedeltà è il racconto che ne fa Chloe, Catherine non vede mai niente con i suoi occhi. Il discorso vale anche per elementi secondari, come la foto che Chloe spedisce a Catherine, che la fa finalmente preoccupare sulle intenzioni della ragazza, o la scena in cui il figlio viene lasciato dalla sua ragazza con una videochiamata sul pc. Egoyan mette in scena personaggi separati, isolati, che non vedono con i propri occhi, che non sentono, non toccano la realtà in prima persona, ma ne hanno una versione di seconda mano, mediata, che sia dalla tecnologia o dalle parole di un altra persona. La pace tra i coniugi tornerà infatti solo nel momento in cui i due si incontreranno faccia a faccia e decideranno di dirsi tutto, di essere sinceri. Il finale, dopo le premesse, risulta forse frettoloso.

P.S: Chloe è il remake di un film francese: Nathalie (2003) diretto da Anne Fontaine, che io non ho visto ma che meriterebbe una visione (qualcuno lo reputa migliore).

domenica 22 agosto 2010

L'uomo nell'ombra

Titolo originale: The Ghost Writer
Roman Polanski
Francia, 2010

Trailer italiano

Per chi non lo sapesse, un ghost writer è un autore professionista che viene pagato per scrivere materiale di vario tipo che viene poi attribuito ufficialmente ad un'altra persona. Leader politici assumono spesso questo tipo di professionisti per scrivere autobiografie, discorsi o altro materiale. E' questo il caso del nostro ghostwriter, in italiano letteralmente "scrittore fantasma", che nel titolo diventa invece "l'uomo nell'ombra". Nel film è interpretato da Ewan McGregor, al cui personaggio non viene dato nessun nome: forse per sottolineare maggiormente il concetto di uomo dietro le quinte, il cui lavoro verrà attribuito ad un altro, di cui nessuno si ricorderà ("noi ghostwriter non veniamo invitati di solito alla presentazione del libro, siamo imbarazzanti come un'amante ad un matrimonio").
Trama: Ewan-ghostwriter è uno scrittore inglese il cui agente procaccia un lavoro assolutamente vantaggioso: per una cifra esorbitante non dovrà fare altro che sistemare un manoscritto già praticamente finito. Si tratta dell'autobiografia dell'ex primo ministro inglese Adam Lang. L'altro ghostwriter autore del libro è morto improvvisamente. L'uomo accetta e raggiunge la residenza di Lang negli Stati Uniti, sull'isola di Martha's Vineyard. Il giorno stesso, l'ex primo ministro viene accusato di aver autorizzato il rapimento di sospetti terroristi per consegnarli alle torture della CIA. Il clima nella residenza è pertanto teso, ma nonostante questo i due uomini iniziano a collaborare per finire il libro. L'interessamento dei media al caso e le proteste di un gruppo di manifestanti che picchettano l'ingresso della casa trasformano il soggiorno del ghostwriter in una specie di prigionia. L'uomo inzia a sospettare che esista un collegamento tra la morte del suo predecessore, quindi tra il manoscritto, e l'accusa di essersi macchiato di crimini di guerra mossa contro Lang. Il ghostwriter inizia pertanto a indagare sull'annegamento del primo scrittore e a scavare nel passato dell'ex primo ministro.
In molte recensioni di questa opera si è accostato il nome di Polanski a quello di Hitchcok, ed a ragione. Polanski costruisce un thriller assolutamente classico ed elegante, basato non su clamorosi colpi di scena o eclatanti scene d'azione, ma sulla progressiva creazione di uno stato di tensione attraverso il dubbio che si insinua strisciante. Adam Lang è o non è un criminale di guerra? Ha davvero dei legami con la CIA? Il primo scrittore è morto annegato o è stato ucciso? E se è stato ucciso, chi può essere interessato a non divulgare il manoscritto e perchè? Tutti interrogativi ai quali nel finale verrà data una risposta, ma che, nel dubbio della loro legittimità o meno, tengono lo spettatore concentrato sulle progressive scoperte dello scrittore. Costretto a muoversi in uno spazio limitato, che non comprende molto più della residenza dei Lang e dintorni, l'uomo procede cauto nelle sue indagini, alle quali ogni nuovo incontro aggiunge un piccolo tassello, che però non va immediatamente al suo posto chiarendo la situazione. Il personaggio più presente, oltre al ghostwriter, non è il primo ministro, impegnato a risolvere la crisi e che, ad un certo punto, partirà abbandonando il campo, ma la moglie di questo, Ruth (intepretata dalla poco conosciuta Olivia Williams, spesso affidata a ruoli secondari, come nel recente An Education). Presentata inizialmente come brava moglie di un politico, che segue il marito nel suo lavoro e lo supporta, progressivamente si svelerà come personaggio emblematico (nei film di Hitchcock non manca quasi mai l'elemento della donna che si rivela un personaggio ambiguo o malvagio).
Molto azzeccati per la parte sia Ewan McGregor, che con la sua espressione disorientata interpreta perfettamente l'uomo inconsapevole messo in mezzo a qualcosa di troppo grande per lui, sia il nuovo 007 Pierce Brosnan: nella sua filmografia conta soprattutto film d'azione in cui viene utilizzato come belloccio di mezza età, qui la sua espressione plastica e sorridente viene sapientamente utilizzata per rappresentare il tipico uomo politico da televisione. 
In conclusione, l'ultimo lavoro di Polanski è un'opera di alta fattura, che sfrutta sapientamente i meccanismi classici (la suspence, la progressiva ricerca della verità, il sospetto, la paranoia, il nemico invisibile e sconosciuto) costruendo un intreccio che scorre agevole, nonostante le due ore e più di durata, funziona e non si inceppa. Chi si aspettava un thriller politico- di spionaggio resterà deluso e lo definirà forse monotono e noioso. 
Molto adatta anche la scelta dell'ambientazione: l'isola Sylt (Germania), silenziosa, inquietante, battuta dalla pioggia, simboleggia molto bene l'isolamento e il senso di prigionia del protagonista.

P.S. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Robert Harris, che scrive la sceneggiatura con Polanski. Nella figura di Adam Lang, molti hanno colto dei riferimenti a Tony Blair.

venerdì 13 agosto 2010

Mine Vaganti

Titolo originale: Mine Vaganti
Ferzan Ozpetek
Italia, 2010

trailer italiano

Se questa è, com'è stata defnita, una brillante commedia, allora io devo aver lasciato il senso dell'umorismo in frigorifero. Perchè, procedendo nella visione dell'ultima opera del turco Ozpetek, ho provato un senso di raffreddamento graduale, che congelava la curiosità iniziale per finire in indifferente apatia verso le vicende raccontate sullo schermo.
Veniamo alla trama: Tommaso è giovane, ha un fidanzato che ama, si è appena laureato in Lettere a Roma e ha scritto il suo primo romanzo (in attesa di risposta dalla casa editrice). Ma Tommaso ha anche altro: una famiglia conservatrice, proprietaria di un importante pastificio nel Salento, che si aspetta da lui l'ingresso nell'azienda di famiglia, accanto al fratello maggiore Antonio. Il ragazzo fa ritorno a casa con l'intenzione di rivelare a tutta la famiglia che in realtà non si è laureato in economia e commercio come ha fatto credere, che vuole fare lo scrittore e, soprattutto, che è omosessuale. Ma durante la cena viene scavalcato a sorpresa dal fratello Antonio, che si dichiara omosessuale e per questo viene cacciato di casa dal padre, che subito dopo ha un attacco cardiaco. Di fronte alle precarie condizioni di salute del genitore e alla responsabilità dell'azienda lasciata sulle sue spalle, Tommaso è costretto a rinunciare al suo outing e ad assumere il ruolo lasciato vacante da Antonio. Il film racconta le sue vicissitudini, il difficile rapporto con la famiglia, con l 'intraprendente socia in affari che si innamora di lui, con il fidanzato lontano, fino a che un evento drammatico nel finale riconcilia tutti lasciando comunque il futuro di Tommaso in sospeso.
Quello che non mi ha convinto di questo film è prima di tutto il fatto che procede abbastanza meccanicamente diciamo per siparietti, che non approfondiscono i personaggi, non coinvolgono, ma ci danno la versione "comica" delle loro reazioni. Così abbiamo, per esempio, il padre che al bar si fa prendere da una crisi di nervi convinto che tutti intorno sappiano del suo figlio omosessuale e ridano di lui. Oppure la zia che, dopo una breve fuga giovanile a Londra, vive succube nell'ambiente familiare e lenisce le pene con generosi goccetti d'alcol. Tremenda poi la visita degli amici gay di Tommaso da Roma, momento del film in cui si concentrano maggiormente gli sforzi comici. Questi bravi ragazzi che si sforzano di reprimere la loro vera natura davanti alla famiglia perdono tutta la dignità che avevano le fate ignoranti e con le loro battute e pose confermano in pieno lo stereotipo del padre quando afferma che si sarebbe accorto che suo figlio era gay se avesse "fatto il gay" (vestiva pure normale! esclama).
Seconda cosa che non mi ha convinto e che penalizza il film è  il cast, a cominciare da Tommaso-Scarmacio, che, per me, non ha la minima espressività, il suo personaggio sembra tagliato con l'accetta  e risulta ridicolo quando tenta di rivelare una certa profondità e se ne esce con frasi melodrammatiche come "non bisogna aver paura di lasciare, perchè tutto quello che conta non ci lascia mai" (ma per favore). Si prosegue con la madre-Lunetta Savino (la Cettina di Un medico in famiglia), la zia-Elena Sofia Ricci (la madre dei Cesaroni), il fratello-Alessandro Preziosi (il conte di Elisa di Rivombrosa)...
Mina vagante è il modo in cui i familiari chiamano la nonna, colei che fondò il pastificio insieme al cognato di cui è stata innamorata per tutta la vita (una storia a cui sono dedicati diversi flahback). Le mine vaganti, ci spiega la voce fuori campo, "servono a portare il disordine, a prendere le cose e a metterle in posti dove nessuno voleva farcele stare, a scombinare tutto, a cambiare i piani". Un bel concetto ma che perde in efficacia dal momento che tutto sembra ricomporsi alla fine, i pezzi tornano al loro posto e, perfino la donna che meritava il soprannome, alla fine non aveva forse rinunciato al suo vero amore per sposare chi ci si aspettava che sposasse?
La scena della festa finale, in quell'atmosfera di conciliazione tra passato e presente, disinnesca definitivamente il potere sovversivo delle mine vaganti, come a dire la vita è un casino, ma tutto si supera, tutto si sistema, perchè l'importante è stare insieme...
In definitiva ci troviamo davanti a un prodotto ben confenzionato, che scorre via lieve senza lasciare niente, se non qualche sorriso strappato. Un peccato tenendo presente che in passato, con Il bagno turco, Le fate ignoranti e anche il criticato Un giorno perfetto (dal romanzo di Melania Mazzucco), il regista aveva dato prova di ben altre capacità (anche se aveva già perso qualche colpo con Cuore sacro e Saturno Contro).

giovedì 5 agosto 2010

(500) Giorni Insieme

Titolo originale: (500) Days of Summer
Marc Webb
USA - 2009

Trailer italiano

E' difficile, quando per un film si sceglie un tema come l'amore, riuscire a mostrare qualcosa di innovativo e diverso. Ci riesce, in parte, Marc Webb, che con questa opera firma il suo primo lungometraggio. Un esordio piuttosto interessante per le scelte stilistiche operate, che probabilmente devono molto alla sua precedente esperienza in campo di video musicali.
Il titolo originale è un gioco di parole, che in quello italiano purtroppo si perde, tra la parola summer, nel senso della stagione che evoca per eccellenza il sole, l'allegria e la spensieratezza, e il nome della protagonista, Summer (che nella versione italiana diventa Sole).
Il film racconta la storia, narrata dal punto di vista del ragazzo, tra Tom e Sole, una storia che dura 500 giorni. Siamo a Los Angeles. Tom è un ragazzo laureato in architettura ma , non avendo trovato lavoro in quel campo, è impiegato presso una ditta che produce biglietti d'auguri. Sole viene assunta come assistente del capo di Tom. I due si incontrano e per Tom è immediatamente colpo di fulmine. Sole invece, scettica nei confronti dei rapporti "impegnativi", accetta di frequentarlo perchè lo trova interessante, ma mette in chiaro fin da subito di non volere una relazione seria. Questa pesante limitazione sembra tuttavia passare in secondo piano: i due si divertono e stanno bene insieme, Tom è sempre più innamorato e anche Sole sembra essere presa, finché la rottura porta a un epilogo piuttosto inaspettato.
Parlando della rottura fra i protagonisti non ho affatto svelato il finale. Perchè la caratteristica più originale del film è questa: l'intreccio non rispetta la fabula. Vale a dire: un simpatico contatore segnala all'inizio di ogni sequenza in quale giorno della storia ci troviamo. Il film inizia proprio dal giorno n. 488, quindi quasi prossimo alla fine, per poi saltare al 1°, al 31 e così via. Senza seguire in modo canonico l'inizio della storia, la sua progressione, fino alla separazione, il regista pesca tra i momenti più significativi del rapporto, facendola risultare più vivace e accattivante. Il contatore è solo una delle trovate che differenziano (500) Giorni Insieme da una commedia sentimentale qualsiasi. C'è per esempio un intelligente utilizzo dello split screen, che dividendo lo schermo in due metà ci mostra, da un lato, come si sarebbe dovuto svolgere un incontro secondo le aspettative di Tom e, dall'altro, com'è invece la realtà. In alcuni momenti la fotografia si trasforma in animazione, coerentemente con la passione mai sopita di Tom per l'archiettutura, che lo spinge a ridisegnare la città come la vorrebbe. Così, per visualizzare la tristezza del ragazzo, la fotografia della scena si trasforma in un disegno in bianco e nero, che lo vede piccolo e solo tra gli alti palazzi della city. Sempre in accordo con lo stato d'animo di Tom, questa volta felice per aver conquistato Sole, la città intera diventa il set di un musical, con tutti che ballano e cantano mentre lui si reca al lavoro.
La commedia risulta ben riuscita, scorrevole e piacevole, quasi mai banale. Anche se il tema trattato non è, in fondo, originale: lui e lei si incontrano, lui e lei si mettono insieme, lui e lei hanno delle divergenze, lui e lei si separano. I personaggi sono però molto ben caratterizzati. Da una parte abbiamo Tom (Joseph Gordon-Levitt), un ragazzo a posto, con un lavoro che detesta, un sogno nel cassetto, un tipo romantico che crede nel destino, nell'amore che dura per sempre, uno convinto che Il laureato sia il film che meglio esprime cosa sia l'amore e che ascolta le melodie degli Smiths. Dall'altra parte abbiamo Sole (Zooey Deschanel), ragazza attraente e piena di vita, che sembra illuminare la vita delle persone che la incontrano. Disillusa dal divorzio dei genitori e, forse, da una delusione d'amore di cui non parla, Sole cerca dalla vita il divertimento, la leggerezza. Dichiara di non credere nell'amore e di non volersi impegnare con Tom, anche se durante il loro rapporto inizierà lentamente ad aprirsi e a dire a lui "cose che non aveva mai detto a nessuno". Due caratteri forti come protagonisti vanno forse a discapito dei personaggi che fanno da cornice, leggermente abbozzati e un po' stereotipati, ma che comunque funzionano: i due amici di Tom, quello sfortunato in amore e quello eternamente fidanzato con la stessa ragazza, più una sorellina che parla e si comporta da adulta, più matura e cinica del fratello maggiore.
Quello di cui parla veramente il film di Webb non è propriamente l'Amore, ma come questo sentimento può venire vissuto da persone diverse in base alle loro convinzioni. Parla di come le persone possono ingannarsi, incastrarsi da sole nelle situazioni, come fa Tom, costruendosi un destino su misura e convincendosi che è quella l'unica persona che può renderle felici. O come si inganna Sole, che si preclude a priori ogni coinvolgimento, per poi scoprire che questo è impossibile, che davanti a un certo tipo di rapporto non ci si può nascondere dietro l'etichetta "amici". Il regista sembra astenersi dall'esprimere un giudizio sul comportamento dei suoi personaggi, limitandosi a suggerire, soprattutto nel finale, che a dispetto degli arrovellamenti, dei propositi e delle convinzioni, dei piani e delle strategie, quello che alla fine determina tutto è il caso.

P.S. merita di essere ascoltata la colonna sonora, che nel film gioca un ruolo importante.

martedì 3 agosto 2010

I Gatti Persiani

Titolo originale: Kasi Az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh
Bahman Ghobadi
Iran - 2009

Trailer italiano

La parola "film", per la maggior parte di noi, si riferisce a un prodotto, di valenza o meno artistica, ad uso e consumo per il nostro intrattenimento, qualsiasi sia il messaggio che veicola. Noi diamo per scontato il fatto di entrare in un qualsiasi videonoleggio o sala cinematografica e poter guardare il film che abbiamo scelto. Diamo per scontato, alzandoci al mattino, di poter accendere lo stereo e riprodurre la musica che preferiamo per iniziare meglio la giornata. E se non fosse così? Se un film fosse, per esempio, l'unico strumento attraverso il quale denunciare una realtà e mostrala agli occhi del mondo? E' questo il caso del secondo lungometraggio (il primo è Il tempo dei cavalli ubriachi) del regista Baham Ghobadi: I Gatti Persiani. Il titolo fa riferimento alla proibizione, vigente in Iran, di portare fuori cani e gatti, la cui segregazione in casa viene paragonata a quella dei giovani protagonisti del film i quali, per fare musica, sono costretti a rintanarsi e nascondersi.
"Basato su fatti, luoghi e persone realmente esistenti": il regista sceglie la forma da docufiction per introdurci nella vita di una coppia di ragazzi, Negar e Ashkan, che desiderano fare musica (l'indie rock è il loro genere) e, frustrati dalle leggi e dalle restrizioni vigenti nel loro paese, sognano di andare a Londra per partecipare a un festival. Ashkan ha appena avuto guai con la giustizia a causa della sua passione e altri problemi ostacolano la realizzazione del loro progetto: la mancanza dei documenti necessari per il viaggio e di altri elementi per formare la band. Negar e Ashkan decidono quindi di affidarsi a Nader, un trafficante di dvd pirata a cui sta particolarmente a cuore la diffusione dell'arte nel proprio paese, che si tratti di musica o di cinema. Un appassionato di film europei, che possiede un merlo di nome Monica Bellucci. Il ragazzo ha i contatti giusti: si attiva per procurare visti e passaporti mentre presenta ai due ragazzi  molti musicisti underground, ma nonostante la buona volontà e l'entusiasmo molti ostacoli e difficoltà minacciano la realizzazione del loro sogno.
Guardando questa opera senza sapere nulla del suo contesto storico si concluderebbe facilmente che si tratta dell'ennesimo film sui sogni e le speranze del mondo dei giovani, qui canalizzati soprattutto verso la musica. Ed è proprio questa una delle caratteristiche che più mi ha colpita: il fatto che, nonostante  la drammatica situazione denunciata dal film, esso è in qualche modo leggero, animato com'è dalla vivacità e dalla volontà di non arrendersi dei ragazzi. Il film è stato girato di fretta, in soli 18 giorni, con una strumentazione digitale (a causa della difficoltà ad ottenere l'autorizzazione a girare film in 35 mm, proprietà dello Stato) e durante le riprese la troupe è stata soggetta diverse volte a fermi da parte delle autorità. Ogni pezzo musicale è suonato da veri musicisti underground. Non solo indie rock: anche rap etnico, hard rock, musica tradizionale persiana. La progressione della trama viene interrotta dai momenti musicali, in cui la storia letteralmente si arresta per lasciare spazio a veri e propri videoclip: sulle note della musica scorrono immagini della Teheran tanto amata, nonostante tutto, dai suoi figli. Nel film si avverte infatti questo rapporto di amore-odio dei ragazzi nei confronti della patria: il desiderio, da un parte, di fuggire all'estero (ma perchè l'Iran, come sbotta Nadir davanti all'ennesimo rifiuto di un'autorizzazione, è un paese che costringe tutti a scappare) e ,dall'altra, la voglia di restare per imporsi, lottare per un paese ricco di arte e bellezza, soffocata da un regime ingiusto.
La videocamera, incollata ai personaggi, prende per mano lo spettatore e lo porta a scoprire i luoghi più nascosti, verso il basso della terra, in scantinati, seminterrati, cortile dopo cortile, porta dopo porta, in appartamenti privati, al lume delle candele, o verso l'alto del cielo, su terrazze e palazzi in costruzione, nell'aperto della campagna, dentro le stalle (con la disapprovazione delle mucche), ovunque questi ragazzi energici, speranzosi, appassionati dicono la loro protesta pestando sugli strumenti.
 Il film è costato al regista l'esilio dal paese. In un'intervista ha dichiarato: "vorrei tornare nel mio paese, ma così posso parlare al mondo di quel che succede lì. Voglio essere un rivoluzionario in esilio, un militante della parola contro il regime. E per voi ho una preghiera: non parlate solo delle questioni sull'atomica o sui mullah, quando parlate dell'Iran, ma raccontate della realtà positiva che descrivo nel film. L'Iran è come una giovane ragazza bella, intelligente, dinamica, cui è stato fatto indossare un pesante chador e occhiali scuri. La sua immagine non è moderna, non è attraente. Ma sotto quegli abiti è ancora lei, e merita di essere scoperta".
Bahman, con questa opera, ha voluto dare un'occasione ai giovani iraniani per raccontare la loro storia ai giovani di tutto il mondo attraverso il linguaggio universale della musica.

P.S. da visitare il blog ufficiale del film. Per chi fosse interessato alla Rivoluzione Verde, consiglio il documentario di Hana Makhmalbaf.

lunedì 2 agosto 2010

Revolutionary Road

Titolo originale: Revolutionary Road
Sam Mendes
USA - 2008

Trailer italiano

Nel 1999, con l'indimenticabile American Beauty, Sam Mendes ci ha guidati alla scoperta delle ipocrisie e delle contraddizioni di una tipica famiglia americana del ceto medio-alto. Con Revolutionary Road ripete l'operazione, con un cambiamento di ambientazione e di tono. Dai giorni nostri all'America degli anni 50, dall'ironia provocante al dramma. Tratto dall'omonimo romanzo di Richard Yates (pubblicato negli Stati Uniti nel 1961 e tre anni dopo in Italia con il titolo I non conformisti), il film ha per protagonisti i coniugi Wheeler. 
Frank e April hanno tutte le carte per essere felici: lui ha un solido lavoro in una compagnia, lei è casalinga, hanno due figli (un maschio e una femmina, perfetto), una bella casa in Revolutionary Road, in un sobborgo di New York ("un amore di casa su un amore di collina, così sbarazzina in cima a quella salitella!" cinguetta l'agente immobiliare), un giro di amicizie composto da altre coppie borghesi. Non fosse che i Wheeler partono dalla premessa di essere speciali, e per questo desiderano una vita diversa. April coltiva delle aspirazioni come attrice, ma l'unico ruolo che la vita ha per lei è quello di casalinga - madre - moglie. Frank appare meno convinto e la sua insofferenza sembra ricalcare un copione prestabilito (una sorta di manuale dell'anticonformista): non vuole finire come suo padre e ha delle generiche aspirazioni a fare "qualcosa di più". Frank non ha un preciso talento: non è scrittore, né artista, sa soltanto quello che non vuole. Quando April gli offre l'occasione di scoprire cosa fare della sua vita (per lui, ma fores più per se stessa, disperatamente bisognosa di credere nella loro "unicità") i coniugi si imbarcheranno nell'impresa di trasferirsi a Parigi. Un progetto che metterà a nudo risentimenti e conflitti.
I Wheeler si dibattono intrappolati in un contesto sociale che non emargina ma integra la diversità e che per loro ha coniato un'etichetta: "i simpatici, giovani Wheeler". Ben presto in Frank si insinua la paura di mettersi alla prova e magari scoprire così che in realtà non ha nessun talento, e la sua già fragile convinzione vacilla all'offerta di una promozione. Più soldi dunque, e l'illusione che, con il denaro, "potremmo essere felici anche qui". Ma il punto non è il qui o il là: il suo ripensamento è vissuto da April come un tradimento del loro patto segreto. Da complici ("per anni ho pensato che condividessimo un segreto, che noi saremmo stati meravigliosi nel mondo" racconta April) i coniugi si trasformano in avversari. Frank ricade negli schemi mentali della società borghese (e con una rapidità tale da far nascere il sospetto che non ne fosse mai uscito!) per cui la moglie che non si adegua, che non desidera un altro figlio, che non si fa bastare quello che hanno, è malata, addirittura pazza. E' insomma elemento di disturbo. Ma i Wheeler non hanno il lusso di essere pazzi, come invece lo è John (l'azzeccato Michael Shannon), il figlio dell'invadente agente immobiliare (l'altrettanto azzeccata Kathy Bates), che con i suoi 37 elettroshock alle spalle e le sue osservazioni puntuali squarcerà il velo di ipocrisia, dimostrandosi il più lucido di tutti. I Wheeler sono solo due esseri umani che si scontrano con i propri limiti e devono accettare la loro mediocrità. Frank non riesce a scorgere dietro il sorriso della moglie le crepe di una necessità delusa. La tragedia si consuma dietro il pudore di una porta chiusa. Protagonista, la casa rimane a colmare lo schermo con le sue stanze ordinate e composte, da pagine di rivista patinata, che oggettivizzano quel "vuoto disperato" ma "comodo" di cui parla il folle-saggio. L'elemento disturbante, una chiazza di sangue rosso su una moquette bianca, candida, nella luce abbagliante di un salotto immacolato. Elemento che stona nel contesto, come le aspirazioni e le inquietudini dei due coniugi fuori luogo nella cornice della vita integrata da middle class.

Mendes coglie diverse costanti della narrazione di Yates, come il bere, il fumare, la follia come fuga, e le sparge sapientemente lungo il film, creando diversi spunti interessanti. Racconta la storia con uno stile lineare e composto, con qualche raro flashback per mostare com'erano i giovani innamorati e come sono diventati, con molte sequenze alternate di Frank ed April incastrati nel loro ambiente quotidiano, l'ufficio per lui, la casa per lei, e molti dialoghi serrati che rivelano la matrice teatrale.
L'ambiente ricalca perfettamente i film anni 50, ogni dettaglio è restituito con puntuale fedeltà. La fotografia di Roger Deakins, dalle tonalità ocra, con la sua luce fredda e densa avvolge gli interni caricandoli di solitudine e distanza. Le melodie di Thomas Newman sottolineano con il loro manierismo la compostezza dell'ambientazione. 
Il risultato è un'opera sincera, capace di portare lo spettatore dentro alla vita dei coniugi, come uno dei tanti ospiti, accomodato su un soffice divano a sorseggiare un liquore o mangiare qualche prelibato stuzzichino. Un risultato ottenuto grazie anche alle sapienti interpretazioni dei due protagonisti: Leonardo Di Caprio, i cui lineamenti si sono induriti negli anni, incarna perfettamente il ragazzino troppo cresciuto, che, spaventato dalla forza della moglie, trasforma la frustrazione in aggressività, si attacca alla bottiglia e trova nel letto di un'adorante segretaria le conferme di cui ha bisogno. Kate Winslet ha la compostezza e la distanza di una statua, carica di rabbia e tristezza. Innumerevoli inquadrature la vedono immobile, con il braccio teso e una sigaretta perennemente accesa. Il ritratto di una donna profondamente ferita, April, che non può dimenticare ciò che è stato detto, non può coprire la verità sotto un banale chiacchiericcio, perchè "il bello della verità Frank è che tutto sanno qual'è... nessuno dimentica la verità, si diventa solo più bravi a mentire".

P.S.: consiglio vivamente di leggere il romanzo di Yates

domenica 1 agosto 2010

Promettilo!

Titolo originale: Zavet
Emir Kusturica
Serbia - 2007
E' un senso di delusione particolare quello di chi, badando al regista che ha firmato l'opera, vi si affida certo di ritrovare le sensazioni che lo stesso gli aveva trasmesso in passato. E' quello che è capitato a me guardando Promettilo!, ultimo lavoro (escludendo il successivo documentario su Maradona) del regista serbo. Senza andare a scomodare capolavori come Underground o Arizona Dream, la mia aspettativa era basata su di un'altra commedia del regista: Gatto nero, gatto bianco (1998). Chi è riuscito a guardarlo e a rimanere serio? Con quest'ultimo film presenta della affinità. Innanzi tutto, in entrambi il protagonista è un ragazzo. Abbiamo l'amicizia di vecchia data tra due uomini anziani. La figura familiare eccentrica: là un padre inaffidabile, qui uno strano nonno. Una ragazza da salvare, là da un matrimonio forzato, qui da un lavoro forzato e forse da una schiavitù. In entrambi, una cornice di personaggi grotteschi, tra inseguimenti, musiche sfrenate, sparatorie e gag. Le premesse sono buone ma il film non ingrana e gira, lentamente, a vuoto. I personaggi non vengono approfonditi e risultano solo marionette che agiscono fondamentalmente per strappare una risata che, ahimè, non arriva.
Ma veniamo alla trama: il giovane Tsane vive con il nonno Zivojin, contadino e fantasioso inventore, in un villaggio sperduto nella campagna serba, in cui l'unica attrazione pare essere Bosa, la procace maestra del ragazzo. Quando la scuola viene improvvisamente chiusa (Tsane era l'unico alunno) e il nonno si sente prossimo alla morte, Tsane viene mandato in città con un compito, che è la sua promessa al nonno morente: vendere la loro mucca Cvetka e, con i soldi guadagnati, comprare un'icona di San Nicola, un regalo per stesso che sia anche un ricordo e trovare una moglie (possibilmente non comprandola con il denaro). L'ingenuo ragazzo di campagna approda in città, dove fa importanti incontri: con la banda di malviventi capitanata dal boss Bajo, con i due fratelli, nipoti del migliore amico di suo nonno, che lo aiuteranno come angeli custodi, e con la bella Jasna di cui si innamora. La situazione si complica quando Bajo, che già sfrutta la madre della ragazza facendola lavorare nel suo night club, dedice di costringere anche Jasna a quella vita. Tsane tenterà di tutto per liberare la ragazza e per condurla al suo villaggio come sposa.
Quella raccontata qui è la trama di una classica favola: abbiamo l'eroe con la sua missione (liberare e sposare la bella), abbiamo gli aiutanti (i due fratelli) e l'antagonista (Bajo). Quello che manca è lo spessore. I personaggi, delineati attraverso un paio di caratteristiche forti a testa, sembrano solo delle macchiette. Tutto quello che occupa le due ore del film è l'azione, un'azione volutamente caotica e infarcita di gag a dir poco demenziali (porte sbattute in faccia, pugni in testa, clamorose cadute) che, non sostenute da un'adeguata atmosfera, fanno solo pensare ai film di Bud Spencer e Terence Hill. Grandi sparatorie dunque, grandi risse, grandi corse e tribolazioni, tutto teso verso quel finale già scritto in cui l'amore trionferà e si scoprirà che i cattivi non sono poi così cattivi. 
L'impianto c'è, ma rimane vuoto e, mentre con Gatto nero, gatto bianco (che pure adottava lo stesso schema di base) il regista ci trasportava in un mondo bizzarro e meraviglioso, che stupiva e divertiva ad ogni scena, qui non riesce nell'operazione e vediamo solo lo scheletro della storia, senza un contenuto. La sessualità, qui più esplicita che in passato, vorrebbe far sorridere ma perde d'ironia e risulta solo squallida. La gag del boss Bajo, che ama accoppiarsi con gli animali, può far sorridere la prima volta, con il suo incontro con il tacchino, ma ripetuta e stiracchiata come ogni altro elemento della trama, diventa fiacca e triste. La figura di questo boss impallidisce letteralmente al confronto con l'irresistibile Dadan, re dei gangster gitani in Gatto nero, gatto bianco.
Belle comunque le musiche, curate da Stribor Kusturica, anche se in alcuni punti, usate eccessivamente, diventano un po' ingombranti e snervanti.
La critica non ha amato questo film, che da noi è arrivato con ben tre anni di ritardo: prodotto nel 2007 è uscito in Italia solo a febbraio di quest'anno. Si è parlato, come succede sempre davanti a un flop, di crisi del regista se non addirittura di una sua fine (v. La magia è finita, archiviamo Kusturica, La Repubblica). Senza arrivare a parlare di fine, è chiaro che questo film non funziona. Ma non abbandoniamo la speranza! Kusturica ha in cantiere ben due progetti: Cool Water, una commedia che ha per protagonisti due fratelli palestinesi, e Wild Roses, Tender Roses, film biografico basato sul romanzo Gli amici di Pancho Villa (di James Carlos) che vanterà nel suo cast Johnny Depp e Salma Hayek.
Un ultimo appunto. Che il regista abbia volutamente intentato una provocazione con questo film? E' una domanda legittima (e forse una speranza) che può sorgere ascoltando le battute conclusive. Il misterioso uomo volante, che ha attraversato tutto il film solcando il cielo, considerato da alcuni un angelo e da altri il diavolo, finalmente tocca terra, sfondando il tetto della chiesa. Si alza, si scrolla la polvere e finalmente parla: 
"qualcuno sa i risultati della serie A italiana?"
"amico, questa mi sembra che sia una provocazione di dimensioni enormi!"
Viva il nonsense.

P.S. per chi non conoscesse il lavoro di Kusturica, consiglio, oltre ai film citati, anche La vita è un miracolo e Il tempo dei gitani. Per chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere, anche se un po' datato, Emir Kusturica, di Paolo Vecchi, Gremese Editore, 1999.

Presentazione

Forse non c'era bisogno di un altro blog sul cinema ma, vedete, i film hanno iniziato ad occupare una parte così sostanziosa del mio tempo che è difficile non parlarne.
Questo blog nasce senza nessun tipo di presunzione. Non mi considero un'esperta nel campo, so solo riconoscere cosa mi piace e cosa non mi piace. Guardo molti film, forse troppi. Guardo di tutto e non me ne vergogno, dò sempre un'occasione a un film. Spero che questo diventi un sincero angolo di discussione aperta per tutti quelli che, come me, sono ammalati di questo amore (a volte odio) per il cinema e lo considerano una "prigione per gli occhi" (Kafka).
Nei miei post non seguirò nessun ordine o criterio particolari, mi piacerebbe solo parlare di ciò che vedo, giorno per giorno...